IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al
 numero  333  del  registro  delle impugnazioni delle misure cautelari
 personali dell'anno 1995, riservato per  la  decisione  alla  udienza
 camerale del 25 maggio 1995.
   Sulla  richiesta  di  riesame  proposta nell'interesse di Calabrese
 Antonio, nato il 23 giugno 1954, in  atto  detenuto  presso  la  casa
 circondariale di Paola, avverso la ordinanza applicativa della misura
 cautelare  della  custodia  in  carcere,  emessa  dal  giudice per le
 indagini preliminari presso il tribunale  di  Catanzaro  in  data  12
 aprile 1995;
   Sentito il difensore avv. Ciro Mortati esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
   Premette:  con  ordinanza  del  12  aprile  1995  il giudice per le
 indagini  preliminari  presso  il  locale   tribunale   ha   disposto
 l'applicazione  della  misura  custodiale  carceraria  nei  confronti
 dell'odierno  riesaminante,  per  il  delitto   di   associazione   a
 delinquere  di  tipo mafioso e di altri reati specifici; reati tutti,
 relativamente ai quali e' stato disposto rinvio a giudizio dinanzi al
 Tribunale di Castrovillari, dallo stesso  giudice,  come  ha  decreto
 indicato in atti.
   Avverso  detta  ordinanza e' stata proposta richiesta di riesame da
 parte del difensore avv. C. Mortati con atto del 2 maggio 1995.
   Con nota in data 19 maggio 1995 il pubblico ministero ha  trasmesso
 gli atti.
   All'odierna  udienza  camerale,  fissata  per  la  trattazione  del
 riesame, celebrata in assenza del  p.m.,  il  difensore  ha  prodotto
 l'avviso  di  deposito  della  ordinanza  che  ha  disposto la misura
 coercitiva e si e'  riportato  ai  motivi  scritti  in  cui  venivano
 profilati aspetti di illegittimita' costituzionale.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
   Rileva:
     A)  Sotto  il profilo di "gravita' indiziaria di colpevolezza" la
 ordinanza impugnata si astiene espressamente dal motivare  in  ordine
 alla ricorrenza del detto requisito, sul presupposto (pacifico) della
 avvenuta emissione del decreto dispositivo del giudizio.
   Orbene,   e'   evidente   come  la  ordinanza,  lungi  dal  potersi
 qualificare come "nulla" ai sensi  dell'art.  292.2,  lett.  c),  del
 codice  di  rito, avvalori la correttezza (enunciativa e sostanziale)
 del  suo  porsi,  in   correlazione   con   il   fermo   orientamento
 giurisprudenziale,  secondo  il quale: "Attesa l'intervenuta modifica
 dell'art. 425 c.p.p., dal cui testo, per effetto della legge 8 aprile
 1993 n. 105, e' stata eliminata la parola "evidente"  (riferita  alla
 presenza  delle  condizioni  che, all'esito dell'udienza preliminare,
 debbono dar luogo al proscioglimento dell'imputato),  deve  ritenersi
 nuovamente  vigente  il  principio,  gia' affermato nella vigenza del
 codice  abrogato,  secondo  il  quale,  in  tema   di   provvedimenti
 riguardanti  la liberta' personale dell'imputato, l'avvenuto rinvio a
 giudizio di costui si pone come motivo di preclusione in ordine  alla
 proposizione e all'esame di ogni questione attinente alla sussistenza
 dei  gravi  indizi  di colpevolezza (cfr., da ultimo, Cass. sez. V, 5
 maggio 1994 n. 1652, Bonifati ed altri, a conferma di un orientamento
 prevalente  della  Cassazione,  in  specie  dopo  la  abolizione  del
 requisito  della "evidenza" probatoria ai fini del rinvio a giudizio;
 cfr., anteriormente e tra le piu' recenti, Cass., sez.  V,  17  marzo
 1994, Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In  linea  con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     a) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta  sentenza  di  condanna, questa, in sede di legittimita',
 sia stata annullata  con  rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizzi di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass. sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     b)  "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio a
 giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando  si  sia
 in  presenza  di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non
 vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione"  (Cass.,
 sez. I, 5 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1) la introduzione della  modifica  legislativa  alla  regola  di
 giudizio  per  la emissione del decreto dispositivo del giudizio, con
 la conseguenza che la soppressione dell'inciso  "evidente"  (dopo  il
 verbo  "risulta")  postulando "la insussistenza di elementi denotanti
 una situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita'  dell'imputato",
 comporta  che  "gli  elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento  di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibatti-mentali";
     2) la rivalutazione della disciplina del rinvio  a  giudizio  nei
 termini   fissati   dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta  emanata  la
 ordinanza  di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento
 dell'accusa,  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e   sulla
 sufficienza   degli   indizi:   conseguentemente,   le  contestazioni
 contenute in tale ordinanza non  erano  modificabili  ai  fini  della
 pronuncia  sulla  liberta'  personale  e quindi non erano sindacabili
 neppure in sede di riesame del relativo provvedimento. La  forza  del
 principio   rende   necessitato   il   ricorso   alla   verifica   di
 costituzionalita'
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'  (il  disposto  dell'art.  309  in relazione agli
 artt.  292.2  e  425  c.p.p.  nella  parte  in  cui,   alla   stregua
 dell'orientamento  esaminato,  e'  consentito omettere la motivazione
 sul  requisito  di   "gravita'   indiziaria   di   colpevolezza"   e,
 correlativamente,   e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale  che
 sostanziale, sul punto, in sede di riesame) e' di immediata e diretta
 applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata, in relazione:
     a)  al   disposto   dell'art.   13.2   Cost.,   che   pone   come
 imprescindibile   la  presenza  di  "atto  motivato  della  autorita'
 giudiziaria", quale idoneo titolo  detentivo,  mentre,  nel  caso  in
 esame, la motivazione sarebbe ex lege superflua;
     b)  al disposto dell'art. 111.2 Cost., che salvaguardia la tutela
 di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per
 "violazione  di  legge",  violazione   riscontrabile   vieppiu'   nel
 preliminare  controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in esame,
 in virtu' di una presunzione  assoluta  di  "probabile  colpevolezza"
 insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c)  al disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita' di
 trattamento,  in  contrasto   con   ogni   coerenza   sistematica   e
 ragionevolezza  normativa, sul tema primario di tutela del diritto di
 liberta', tra indagati ed  imputati  ed  anche  tra  imputati,  avuto
 riguardo  alla  fase  processuale  precedente  la decisione finale di
 udienza preliminare e quella  immediatamente  successiva,  fino  alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      la scelta operata dal p.m., del momento procedimentale nel quale
 azionare  la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata da
 specifiche ragioni o dalla sopravvenienza di elementi  nuovi  che  ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito perche' un errore di prospettiva  sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  ne'  sul  decreto  di  rinvio   a   giudizio,   notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne'  sulla
 ordinanza   cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,  altrettanto
 insindacabile  nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
      dal  combinarsi  delle  due  incontrollabili potesta' (di azione
 cautelare e di provvedimento  conseguente)  puo'  derivare,  come  e'
 certo  quanto  al caso in esame (posto che gli elementi fatturali non
 erano mutati dopo la richiesta di rinvio a giudizio),  un  verosimile
 "aggiornamento" dell'istituto del riesame, effettivo nel controllo di
 merito  solo  su  provvedimenti restrittivi antecedenti al decreto ex
 art. 429 c.p.p.;
     d) al disposto dell'art. 24.2 Cost., perche', per le ragioni gia'
 dette, restringendosi la sfera di tutela  sulle  censure  proponibili
 avverso    il    provvedimento    cautelare   impugnato,   ne   resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa  in  relazione  al  bene  primario  della liberta', tanto piu'
 tutelabile,  quanto  piu'  il  sacrificio  di  esso  si   ponga   con
 predominante    efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo   sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   La involuzione sistematica  e  di  principi,  che  sempre  maggiori
 lamentele  suscita  nella  attuazione  pratica  del  nuovo codice, si
 coglie  in  uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti  in  relazione  alla
 questione  agitata,  dal momento che una pericolosa linea di tendenza
 nel senso prospettato istaurerebbe una prassi dai risvolti  ingiusti,
 incontrollabili   ed   antigarantistici,  tali  da  compromettere  la
 coerenza stessa del modello processuale, con l'ovvia  conseguenza  di
 produrre risultati non di rado insoddisfacenti sul piano della tutela
 sostanziale dei valori coinvolti.